La felicità

di Alessandro Fusi

Quando si è davvero felici?
È un’ottima domanda.
L’esperienza mi insegna che è un sottile filo rosso tra l’accettazione del sé e la consapevolezza.
Di ciò che davvero vogliamo e, soprattutto, possiamo essere.
La felicità non è un dato di fatto. È un cammino. Si percorre a poco a poco e quando la si raggiunge è una parentesi effimera. Ma rappresenta un traguardo indimenticabile.
Vale la pena di affrontare questa “fatica” (perché è anche di questo che si tratta), senza cedere il passo alle difficoltà. Per quanto possa risultare più facile, almeno sulle prime, non sarà mai come inseguire la felicità e acciuffarla – anche se per un secondo -.  La definizione di felicità potrebbe essere la seguente: una boccata di aria fresca dopo tanto affanno. Ma lasciando il piano della riflessione veniamo a quello della realtà. Essere felice per me coincide con lo svegliarmi ogni giorno e sapere che ho uno scopo, che passerò la giornata cercando di fare la mia parte.
Consiste nel guardare mia moglie che dorme ancora beatamente abbracciata al suo orsacchiotto di peluche per baciarla sussurrandole all’orecchio che ci vediamo a casa al ritorno dalle fatiche di ogni giorno. È cercare, sul lavoro, di spendere ogni energia necessaria pur di contribuire al buon rendimento del gruppo e, al benessere degli utenti con cui ho a che fare (e mi si può credere se dico che in ospedale, dove lavoro, è assai difficile).
Guardare il mondo con curiosità e cercare di cogliere quei piccoli particolari che possono essere trascurabili per le altre persone. Cantare a squarciagola la tua canzone, quella che ti fa stare bene. E leggere tra le righe di un libro e non solo, per dare ogni giorno un sapore diverso e migliore alla vita. Se nel mio piccolo riesco a fare tutto questo, allora sì, posso dirmi contento e, se è così, potrei essere in grado di regalare un po’ della mia felicità anche a chi mi circonda.

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